La situazione degli istituti penitenziari è oramai nota in tutta la sua gravità, che sicuramente è legata ad una fase di sovraffollamento, ma soprattutto a condizioni strutturali: assiduo ricorso alla detenzione negli istituti, mancato potenziamento delle attività di rieducazione e delle misure alternative.
La recentissima sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani ha sottolineato la situazione drammatica del carcere che Lei conosce bene per averla denunciata più volte.
La reclusione, a nostro avviso, deve riguardare solo una parte limitata della popolazione che deve scontare una pena e la pena non può essere solo quella della detenzione negli istituti, esistono misure (dai lavori di utilità sociale alla detenzione domiciliare fino all’affidamento in prova) che possono fin da subito rispondere all’emergenza e produrre miglioramenti sistematici. Solo in questo modo il dettato dell’art. 27 della Costituzione può trovare una sua applicazione. Certezza della pena e certezza del trattamento.
Dentro questo quadro gli operatori penitenziari (educatori, polizia penitenziaria, direttori, assistenti sociali, volontari) possono contribuire in modo diretto ad un intervento qualitativo per dar vita a quel trattamento che, con dignità umana, permetta maggior sicurezza negli istituti e riduca la recidiva nella società.
Un tassello di questo lavoro è rappresentato anche dalla nostra figura dell’esperto ex art. 80 O.P. (psicologi e criminologi) che svolge i compiti previsti dall’Ordinamento Penitenziario negli istituti penitenziari (e che si dovrebbero occupare in modo sistematico, a nostro avviso, anche della Polizia Penitenziaria, per la complessità del lavoro svolto e per l'alto indice di stress-lavoro correlato a cui giornalmente è sottoposta).
In sintesi, gli esperti in psicologia e in criminologia - tutti reclutati tramite una selezione pubblica del Ministero della Giustizia “per titoli e per esame” - si occupano di contatti diretti con i detenuti per affrontare le difficoltà legate all’impatto con il carcere, alla perdita degli affetti, alla distanza dalle famiglie; per sostenere nei momenti di sconforto che portano, a volte, a gesti di autolesionismo, di suicidio o di violenza; accompagnare i detenuti ad affrontare le lunghe carcerazioni e l’ergastolo; contribuire al lavoro dell’ équipe per conoscere la personalità e favorire i processi di maturazione e revisione critica rispetto al proprio passato, per definire percorsi di trattamento che dal carcere possano creare la basi per progetti mirati al reinserimento sociale.
Purtroppo la figura di esperto ex art. 80 O.P. è di fatto in via di estinzione: si tratta di un lavoro “a cottimo”, di “professionisti coatti” (partite iva), di fatto precari che da trentacinque anni lavorano negli istituti penitenziari senza garanzie ed oggi la situazione, non solo non è migliorata, ma rischia di peggiorare per problematiche burocratiche (in particolare l’anomalia della tipologia di contratto, le modalità di conferimento degli incarichi, ecc.) ed interrompere così la continuità dell’intervento.
Come vengono trattati gli operatori (che non devono espiare nessuna pena!) è oramai speculare a come vengono trattati i detenuti (fatte, ovviamente, le debite proporzioni rispetto a chi non dispone della propria libertà), tutti travolti dall’insolito destino: tutti ne parlano e la situazione precipita.
Poniamo una semplice domanda: si ritiene utile l’intervento di esperti in psicologia e in criminologia per affrontare il disagio di chi sconta una pena e contribuire alla osservazione, al sostegno e al trattamento per favorire il cambiamento e un inserimento sociale ?
Si vuole rinunciare a trentacinque anni di lavoro in équipe, “spalla a spalla” con educatori, direttori, assistenti sociali e polizia penitenziaria? Non si è forse visto che il metodo più proficuo è la collaborazione multidisciplinare, che andrebbe potenziata e non defraudata dell'apporto della professionalità di psicologi e criminologi, peraltro previsto per legge?
Se la risposta è “no”, ci scusiamo per il disturbo e scriviamo qui la parola fine al nostro appello.
Se la risposta invece è “sì”, allora bisogna - soprattutto in tempi di “spending rewiev” - riqualificare veramente la spesa e mettere in condizione gli esperti di poter operare. Spendere poco, aver ridotto il lavoro solo ad una sorta di testimonianza, non è un modo per risparmiare, ma un modo per sprecare risorse anche se esigue: in queste condizioni l’intervento è inutile per una reale riabilitazione della persona detenuta.
Nel 2012 sono stati stanziati 1.095.727 euro per gli “esperti”; la popolazione complessiva dei detenuti presenti nel 2012 (al 1° gennaio + entrati dalla libertà) è stata di 129.917; la retribuzione oraria lorda è di 17,63 euro. Da questi semplici dati si evince che l’intervento psicologico e criminologico è stato nel 2012, in media, di 28 minuti per detenuto. Probabilmente è inutile aggiungere altro.
Da moltissimi anni abbiamo avanzato delle semplici proposte, in parte raccolte nel tempo anche da diversi disegni di legge presentati da tutti gli schieramenti politici (il più recente è il n. 4363 la cui approvazione costituirebbe un notevole passo in avanti), che non hanno mai avuto seguito:
1. monte ore adeguato (poiché i 28 minuti a detenuto nel 2012 si commentano da sé);
2. un nuovo contratto stabile per garantire condizioni di lavoro decenti (la convenzione scade ogni anno, è priva di garanzie, rende l’attività precaria e mette a rischio la continuità e l’esperienza maturata);
3. strutturazione di un servizio di psicologia e criminologia (che migliori l’organizzazione del lavoro).
Attendiamo un segnale da Lei che in più occasioni si è espresso sul tema penitenziario: non vogliamo essere un problema, ma dare un contributo per trovare soluzioni.
In attesa delle inevitabili riforme strutturali del sistema penitenziario, chiediamo un intervento definitivo nei confronti di chi come noi (solo qualche centinaio di persone) opera in modo precario da trentacinque anni e rendere così effettivo, utile e stabile il contributo di psicologi e criminologi negli istituti penitenziari.
Alessandro Bruni (Società Italiana Psicologia Penitenziaria)
Rosa Monti (Criminologi Penitenziari)